di Maria Grazia Carnà

Se il corpo è il tempio dell’anima, l’abito rappresenta il suo ornamento, come un affresco che abbellisce una parete ed esalta lo splendore di un palazzo.

La moda è una rappresentazione del momento, in tutto questo girio di stili che vanno e che tornano, che fine ha fatto “l’abito buono”? Quel capo “della Domenica” che vestiva i giorni di festa e le ricorrenze più liete, quel completo sempre intriso di naftalina che segnava gli eventi importanti e tramutava ogni fotografia in una copia della precedente.

Quegli abiti sartoriali che dopo 20 anni parevano essere intonsi, smaglianti nei colori e dai tessuti vivi come il primo giorno, abiti spesso unici che raccontavano un’arte che oggi pare quasi estinta, la sartoria… che sopravvive in pochi e conquista ancora meno giovani, che sotto il fragore delle grandi marche, continuano la loro guerra partigiana in soccorso della tradizione per sfoggiare la bandiera della qualità e dell’unicità. Persone che accettano la sfida di costruire capi unici e dai materiali scelti, che oggi paiono eccezione ma che si fregeranno un domani di essere abitudine, come un vecchio metodo che torna in aiuto del moderno per stravolgerlo e dargli nuova linfa.

Stilisti che sono una ventata di aria pulita che spolvera la terra… persone come Flavia Amato, che disegna i suoi abiti e vive questo mestiere come una missione alla riscoperta delle antiche usanze tessili, imparando e rinsegnando, ricercando e producendo, tagliando e cucendo e soprattutto ideando e disegnando, un mestiere che si rigenera a nuovo senza dimenticare il suo vecchio spirito, nella costante ricerca di quegli strumenti abbandonati che ancora chiedono solo di poter dare.

Flavia è una giovane entusiasta, ricca di idee e preparata conoscitrice di questa immensa materia, che insieme al marito Paride Giovagnetti, riscoprono materiali e lavorazioni in nome di un’ecologia sempre più necessaria e di un riciclo obbligatorio per rispettare il pianeta, creando capi unici e che rendono unici, personalizzati in base alle complessioni del richiedendo e che trasforma il vestire in un’opera sostenibile e dallo stile inconfondibile.

Nel loro Atelier, ristrutturato con stile dalla antica bottega di Guardavalle in cui la nonna vendeva filati, si possono trovare camicette in tessuti derivati da sete antiche che solleticano la pelle come brezza, maglioncini soffici come vellutate carezze che profumano di natura, e stoffe leggiadre che formano silhouette aggraziate ma senza resistere alle forme, e che snelle di peso proteggono dal freddo… tutto questo è MALÌA, un brand nato da un’idea, che vuole essere utile prima che importante, e che schiva i facili usi di una finta modernità che inneggia al “monouso” a favore del minimo impatto ambientale, seguendo ogni drappo adoperato dalla coltivazione o dall’allevamento, seguendolo fino alla tessitura e arrivando a cercare la tecnica di colorazione più idonea e rispettosa, per poi arrivare a confezionare un abito unico che rappresenti il suo portatore.

Un “prêt-à-porter” tutto Calabrese che dalla canapa al lino, dalla seta alla lana, arriva al latte e alla ginestra per poi tessere persino la menta, trovando spazio per tessuti tanto antichi da sembrare d’avanguardia, creando nuove professionalità e insegnando questi stili desueti a chiunque abbia voglia di dedicarsi, per un progetto futuro che guardandosi indietro sarà di spunto per una nuova era, e per il quale Flavia e Paride sognano una scuola di artigianato con sede a Guardavalle superiore.

Il loro Shop online è attivo all’indirizzo:

https://malialab.com/

dove poter trovare ogni informazione, apprezzare le loro creazioni e ordinare i capi inviando le proprie misure direttamente a Flavia.