di Pasquale Muià

La Brattea aurea, uno dei più preziosi reperti archeologici che Siderno annovera tra i suoi tesori dell’antichità, giovedì 8 febbraio, con inizio alle ore 17.00, presso la sala del Consiglio Comunale di Siderno sarà oggetto di un importante convegno culturale. Nell’arte antica, da quella cretese-micenea fino a quella dell’alto Medioevo (specialmente longobarda), la brattea è ritenuta una sottile lamina d’oro, d’argento o di elettro, ottenuta a colpi di martello. Veniva utilizzata per rivestimento di statue, pareti, soffitti di stanze, mobili e stoffe, o per fabbricare gioielli.

La Brattea di Siderno fu trovata in località Schiriminghi, nell’attuale prolungamento del corso Garibaldi direzione Locri. In quella zona, dove c’era una minuscola chiesa dedicata a Maria, vennero ritrovati dei reperti e delle tombe cristiane. In una di queste, nel 1886, gli agricoltori, tra gli altri tesori trovarono un piccolo e raffinato gioiello d’arte sconosciuto ai più, una “brattea”. Il reperto è una straordinaria testimonianza iconografica di forma circolare, di circa 5 cm di diametro, acquisita prima nelle collezioni del Museo Nazionale di Reggio Calabria e da qualche tempo portata nel Museo del parco di Locri Epizefiri.

Dei ritrovamenti archeologici hanno scritto gli storici Enzo D’Agostino, Mimmo Romeo, Giacomo Oliva, Francesco Papa, e tra i primi il medico e studioso Francesco Prati. La Brattea di Siderno è stata oggetto di studio e di testi di altri storici locali e nazionali.

La “foglia” aurea nel suo delicato rilievo, leggibile sulla superficie della lamina raffigura l’Adorazione dei Magi che offrono i loro doni al Bambino seduto in grembo alla Madonna, la Vergine è rappresentata assisa in trono come una dea pagana della fertilità o un’imperatrice bizantina, sebbene l’aureola ne indichi l’altissimo stato spirituale di Theotòkos, ossia ‘colei che genera Dio’. Verso di loro incedono i Magi, vestiti all’orientale con corta tunica e berretto frigio in testa, guidati da una stella ad otto punte munita di scia luminosa. Un angelo in volo sovrasta la scena nella quale, secondo l’iconografia ufficiale di tradizione romana, trova espressione il dogma dell’Incarnazione. Il tema della Natività, riprodotto nella parte inferiore della brattea (esergo), è chiaramente visibile un ‘presepe’ in miniatura col Bambino in fasce adagiato nella mangiatoia, il bue e l’asino, e su entrambi i lati un pastore con la propria pecora. L’intera scena è circondata da un decoro a girali e da una perlinatura.

E’ possibile che in origine questa lamina aurea fosse applicata ad impreziosire il coperchio di una scatoletta in legno, molto probabilmente un reliquiario. Gli elementi stilistici ne fanno attribuire l’origine all’area mediorientale da cui potrebbe essere giunta in Calabria tramite un pellegrino di ritorno dalla Terra Santa oppure sulla scia delle numerose migrazioni di monaci orientali nel Sud Italia. Questi ultimi solevano venerare le ossa dei santi confratelli defunti, contribuendo alla diffusione del culto delle reliquie.

Quella di Siderno è solo la prima delle lamine circolari auree, lavorate a sbalzo con figurazioni sacre, ritrovate per lo più sul versante jonico calabrese e destinate ad ornare oggetti di vario genere, a volte anche abiti. La comune caratteristica di questi reperti, nei quali trova espressione il forte vincolo spirituale e culturale instauratosi fra il vicino Oriente e la Calabria, è la scelta di immagini religiose con sviluppo della decorazione all’interno di un clipeo decorato. Subito dopo il rinvenimento, la lamina di Siderno fu studiata da Antonio De Lorenzo, allora vice-direttore del museo reggino che ne acquisì la proprietà su donazione del titolare del podere in cui fu ritrovata.