È più facile che una preghiera raggiunga il cielo che essere accolta in terra.

La dura realtà del declino sociale è un silenzio istituzionale, è un urlo contro vento che trova solo spalle girate.

Ricordo che due anni or sono, uno di questi urli si era alzato dalla Calabria percorrendo lo stivale, furono interpellati Presidenti, Consiglieri, Governatori e Sindaci, che nel loro menefreghismo sconcertarono migliaia di persone.

Parlava di speranza e di voglia di rinascita, raccontava di luoghi diventati sconosciuti, contagiati da un dolore che è pestilenza e che isola come fossero contagiosi.

Martedì 4 Giugno è morto un uomo, aveva 52 anni, abitava in un piccolo borgo… Pazzano. Un luogo che molti non hanno mai sentito nominare ma che esiste, come in esso vivono anime identiche a quelle delle grandi città.

Un infarto ha rubato al mondo un brav’uomo che chiedeva aiuto e, mentre sdraiato sul grigio manto stradale raccoglieva gli ultimi ricordi, i suoi occhi scorgevano il brulicare dei cittadini accorsi, le ingiurie verso un defibrillatore scarico e la rabbia dei Carabinieri che chiedevano un’ambulanza.

Il Tristo mietitore ha aspettato e aspettato, per poi prendere con sé un’anima che avrebbe potuto essere salvata, uccisa dall’indifferenza di coloro che hanno voltato le spalle alle suppliche di una lettera di Natale di due anni fa.

In questi tempi di elezioni le frasi si sprecano, caroselli di strabordanti promesse irrealizzabili che lambiscono l’interesse di uno sbadiglio a cui ormai non credono neppure i bambini. Politici hanno forza per lottare l’uno contro l’altro e mai per trovare accordi risolutivi per le persone.

Responsabilità e colpe altrui è ciò che portano nel cuore uomini e donne dimenticati, li porteranno con sé fino alle urne, ma il loro petto è ormai pieno e non c’è più spazio per credere in qualcuno, perché l’esperienza dell’abbandono impedisce di credere nel futuro e rende incapaci di amare il presente.

Che ognuno ricordi che dentro di se c’è un urlatore e che mille voci formano uno “tsunami” di accuse e che prima o poi faranno i conti con le proprie coscienze e con i propri elettori.

Presidente Mattarella, basta, noi qui esigiamo la sua risposta in merito, vogliamo che finalmente legga quella lettera a cui mai rispose, una missiva scritta con amore da una giovane Calabrese che se ascoltata, forse, oggi avrebbe salvato la vita di un uomo, che non conosciamo ma che avrebbe potuto essere noi.

Noi esistiamo e proviamo dolore, angoscia e solitudine… Noi siamo anche parte di quell’incarico che ha accettato… Noi siamo figli di questa Italia e vogliamo essere da Lei amati.

Presidente Occhiuto faccia sentire la sua presenza, anche solo una risposta perché nessuno si possa sentire ancora solo, abbandonato e inesistente.

Presidente Meloni lasci cadere l’abito istituzionale e ci mostri la Madre che è dentro di lei, e che è un valore indispensabile per svolgere il suo ruolo… noi siamo figli di quest’Italia e vogliamo il suo abbraccio.

Riporto sotto la lettera che Maria Grazia Carnà scrisse nel Natale del 2022 sperando che dopo anni raccolga lo sguardo di qualcuno, e la puntata di “Tre minuti con Muià” in cui l’omonimo Direttore lo descrive.

LETTERA DI NATALE

Di Maria Grazia Carnà

Se qualche anno fa avessi spedito i miei pensieri in destinazione dei giorni moderni, avrei veduto un mondo diverso da quello che oggi leggo e vedo. Io vivo, e amo vivere, in un piccolo paese collinare della Calabria, uno di quei borghi da cartolina in cui tutti si conoscono e che suscitano ilarità nostalgica elencando le tradizioni e le usanze quotidiane.

Il mio mondo qui è diverso da quello che conosco fuori, qui siamo in una bolla nel tempo in cui alcune modernità entrano lente, ma non per questo non esistiamo, siamo felici di essere qui ma impauriti dal nostro isolamento imposto e mai scelto.

Qui, come altrove, poche anime non valgono il disturbo di un’ambulanza, di una rete telefonica efficiente o semplicemente di un taxi, qui, nel mio bel paese dobbiamo prendere un mezzo anche solo per far compere, per quel farmaco che il dispensario non tiene o per quel prodotto che vediamo alla réclame… ed ogni qual volta si presenti un bisogno diverso dal semplice, salpiamo dalla nostra oasi nel verde per raggiungere il grigio di città che da dentro questa isolata stanza, che manca di tutto per eccedere nel superfluo, rievoca le luci di una modernità sconosciuta che ci rende soli, ed intorno, il freddo del silenzio attende fuori per smorzare le nostre voci.

Nessuno sopravvive da solo e chi è solo ha paura, e questo lo sappiamo bene! Un timore che ci lega in una comunità coesa, che nel bisogno scorda i contrasti e le maldicenze, tramutando le persone da gruppo in famiglia, fino alla prossima discussione… questo almeno era un tempo, ma ormai, svuotati di persone in questa terra non ci sono rinforzi, e mentre i pochi rimasti si stringono come stretti dal freddo, si annida in ognuno il tarlo dell’essere soli, in questa terra un tempo ospitale che oggi profuma dell’aria pulita del niente, e noi, da sempre stranieri per qualcun altro, abbiamo imparato a vivere insieme e lottare contro l’isolamento con l’unione.

Le case sono cambiate nella ruota del tempo, ma sul selciato briciole di memoria rievocano il passato, i Natali dove c’era tutto pur non essendoci nulla, quando le feste si scandivano in lunghe tavolate oggi improbabili anche nelle famiglie allargate, di quando un dono era grande nel suo esiguo valore… ma il secchio dei ricordi è inutilmente pieno e guardando in esso traviso il passato per sviare il futuro, non per guardare me stessa ma cercando una scusa per fuggire, crescere e maturare.

Questa nostra solitudine è il frastuono dei cinguetti che scampanellano dagli alberi, delle foglie che ribollono a terra, del crepitio delle tracce sulla neve che nascondono i piedi, mai interrotte da una sirena che sospiri salvezza per noi esclusi, che mai invadenti nei pensieri di chi promuove le regole, restiamo essenziali per la cura di questa terra e di questi boschi che riempiono le tavole coi frutti del nostro impegno… qui dove esiste un luogo in cui la popolazione si integra alla perfezione con la natura accerchiante, senza forzature ma solo i doveri etici imposti dall’alternarsi delle stagioni.

Chiediamo aiuto nell’unico modo in cui sappiamo darne, credendo che la grazia nel dare sublimi l’elemosina e serva chi dona e chi prende, illuminando ogni anima di questo paese, che aggrappato e stanco ad un monte roccioso, forma il più luminoso albero Natalizio, coprendo di luce i tempi bui ancora in attesa di noi.

Ad oggi che i nostri bisogni sono lettere polverose sulla scrivania dietro una porta con su scritto “TORNO SUBITO”, siamo felici e costretti di rivolgerci ai Santi, in particolar modo al nostro patrono San Nicola, proprio a Lui che una volta l’anno veste abiti rossi permettendo di chiamarlo Babbo Natale, e proprio ora che è creduto da pochi, è a Lui che scriviamo la nostra supplica, sperando che sotto quell’albero illuminato sotto il quale non piove, quello di un intero paese, potremmo trovare  strade ripristinate, linee telefoniche efficienti e quella piccola voglia di miracoli che possa sanare le nostre ferite col potere del fare, che sepolto tutto l’anno, trova breccia in questi giorni.

Un altro Natale si presenta come ogni anno, meraviglioso nei concetti ma lugubre nei lumi colorati del divertimento altrui, e nell’attesa che i miei valori più alti rinascano in quel simbolo fanciullo che tutto monda, auguro a tutti una felice Natività… ed auguro a noi un proseguo di miglioramenti e di considerazione.

Camini (RC), 2022