Aver “celebrato” Saverio Strati in un contesto di straordinaria ampiezza e risonanza qual è il Salone Internazionale del Libro di Torino è stato importante non solo in sé, ma anche per la Calabria brillante, culturalmente dinamica che si è presentata agli occhi di visitatori e curiosi. Una Calabria che, sia nella varia e pregevole editoria sia nella rappresentanza di autori e intellettuali divulgatori, ha mostrato di guardare, sì, al passato e alle radici, ma anche di pensare ad un futuro coerente e il più possibile resistente a facili lusinghe e false mitologie. Una Calabria che sapeva di inedito, ariosa e vivace, che non invocava le radici con intento retoricamente e sterilmente identitario, ma come riferimenti ineludibili nel cammino sano della sua società. Il cammino che Strati ha lungamente evocato e invocato, del quale percepiva il germe nelle storie che narrava essendo egli un indagatore autentico dell’animo umano. Quanto detto dai vari studiosi impegnati a parlare della sua opera, dalla sottoscritta e da Luigi Franco, straordinario direttore editoriale della casa editrice Rubbettino, è risultato un seme sparso con sapienza in un contesto disposto ad accoglierlo.

E così, un autore nel tempo confinato da un’amorfa vulgata in un ambito regionale, se non addirittura locale, è emerso in tutta la sua pregnante importanza mostrando il valore universale della sua opera. Universale perché, nel raccontare contesti sociali, ambientali e culturali egli non prescinde mai dal motore che le attiva, ossia i sentimenti e le dinamiche profonde dell’agire umano. Dinamiche che non smettono di “dire” perché in stretta connessione con “l’uomo”, l’uomo di ogni tempo. Se, poi, si considera che la sua Opera abbraccia un arco temporale lungo un secolo, il Novecento, si capisce chiaramente quanto essa sia indispensabile, specialmente ai ragazzi delle scuole, per avere contezza del nostro cammino socio-antropologico, nonché comprendere le dinamiche socio-culturali che hanno generato la società che ci ritroviamo, con le sue degenerazioni e le sue virtù.

Il valore di Saverio Strati era stato compreso già negli anni cinquanta quando Vittorini, che leggeva per Mondadori, salutò il suo primo romanzo, La Teda, come opera rivoluzionaria perché narrava gli umili non come oggetti della storia, ma come soggetti, soggetti pensanti, capaci di cambiare il loro destino. Una rivoluzione, questa, salutata con entusiasmo anche oltreoceano, in America, dalle colonne del New York Times.  E le opere successive, sempre pubblicate Mondadori, continuarono a raccontare di quelle masse e delle vie da esse imboccate per inseguire, col benessere economico, il riscatto sociale e l’affermazione della loro dignità di uomini.

Un elemento, quest’ultimo, enormemente innovativo in una tradizione letteraria che partendo da Verga aveva, sì, elevato gli umili al rango letterario, ma come esseri rassegnati e vinti sui quali non si poteva che posare uno sguardo commiserante e paternalistico. Cosa, questa, che fatto salvo il valore letterario più o meno grande dei singoli autori, storicizza i temi confinandoli nei propri ambiti temporali. Fenomeno che non accade per l’opera di Strati proprio per il cambio radicale di prospettiva, grazie al quale le masse sono colte nel loro dinamismo esistenziale. Dinamismo che le colloca in una temporalità sempre attuale per via della comunicazione profonda che inevitabilmente s’instaura tra personaggi e lettore. Ed è questa comunicazione che rende universale un’opera. Se ne sono resi conto, tra gli altri, i ragazzi del Liceo Volta di Torino i quali, a conclusione di uno degli eventi sullo scrittore, hanno dichiarato di aver compreso di trovarsi non difronte a un autore calabrese, ma difronte a un autore nato in Calabria e di livello universale, e hanno aggiunto di voler studiare tutta la sua opera per comprendere meglio se stessi. Un bel risultato tale consapevolezza, un risultato per il quale molto dobbiamo alla lungimiranza della casa editrice Rubbettino che alcuni anni or sono decise di investire su questo autore ripubblicandone l’Opera Omnia, consentendo con ciò un approccio nuovo con la lettura e in definitiva con se stessi.

Ecco, volendo fare un resoconto della celebrazione di Saverio Strati al Salone di Torino, si può affermare senza tema di smentita di essere tornati a casa con la consapevolezza e l’orgoglio di essere corregionali di uno scrittore tra i più grandi della letteratura nazionale e internazionale, tradotto in molte lingue, che ha scritto, tra l’altro, quello che è stato definito (Tibi e Tascia) il più bel romanzo sull’infanzia mai scritto; che è stato il primo Campiello della Calabria (Il selvaggio di Santa Venere)1977; che con la sua vastissima opera ha consegnato la gente di Calabria, col suo straordinario bagaglio culturale e il suo  tormentato dinamismo esistenziale, alla grande Letteratura; che nel 2009 ha scosso come un terremoto la Calabria con una lettera nella quale si dichiarava costretto a chiedere i benefici della Bacchelli per il grande riserbo con cui aveva affrontato anni di silenzio e difficoltà; che aveva vissuto da uomo libero, rifuggendo tutti i tipi di riflettori e perseguendo solo lo studio e la scrittura, unici strumenti per continuare a raccontare la sua terra nonché  uniche fonti per lui di gratificazione umana e spirituale.

Ora che il Salone è concluso, la Calabria dei lettori e degli intellettuali attende gli eventi, preannunciati dalla Regione con relative promesse di finanziamento, in onore di uno scrittore che con la sua opera ha reso universale la Calabria spogliandola di schemi e preconcetti e consegnandola al futuro con la sua autentica identità e tutto il peso della sua millenaria e inesausta storia.  Aspettiamo tutti fiduciosi.