𝐝𝐢 𝐅𝐢𝐥𝐨𝐦𝐞𝐧𝐚 𝐃𝐫𝐚𝐠𝐨*

Siamo ancora qui a parlare di femminicidio.

Dopo l’ultimo efferato delitto della giovane Giulia, sembra che la cosiddetta società civile abbia avuto come una reazione ancora più negativa del solito per cui si stanno spendendo fiumi di parole per cercare di capire i meccanismi che inducono a tali follie. Il femminicidio non è mai un unico gesto di follia perché dietro vi sono una serie di azioni e di segnali che lasciano prevedere quanto tragicamente andrà ad accadere.

Nello specifico caso di Giulia i segnali sono stati numerosi e ci si potrebbe domandare come mai una ragazza così emancipata e così intelligente, non sia stata in grado di raccoglierli. L’unica spiegazione possibile, a mio parere, è che, momento dopo momento, nella vita di relazione con il partner, lei sia rimasta intrappolata in una rete emotiva che non le permetteva di capire il pericolo che stava correndo mentre mano mano cedeva ai ricatti di lui che diceva di amarla e non poter vivere senza di lei, minacciando addirittura di togliersi la vita e Giulia, di questo, se ne sentiva responsabile.

Perdeva se stessa per andare incontro all’altro che è l’errore più grave che si possa commettere in una relazione di coppia.

Per ritornare ai suddetti fiume di parole che si stanno consumando in questi giorni sul caso di Giulia, Io penso che parlarne, in ogni caso faccia bene, divulgare la conoscenza e l’importanza del fenomeno è altrettanto importante ma non basta dire che “tutti siamo responsabili” e che “tutti dobbiamo fare qualcosa”.

Certamente, come ho avuto modo di scrivere su uno dei miei libri quale “Diario da una finestra sul mare”, usando le parole di una giovane donna figlia di una vittima di femminicidio, è importante la tempestività e la certezza della pena ma è solo una soluzione che è la punta dell’iceberg.

Riporto le parole della giovane donna figlia di vittima di femminicidio che suonano le seguenti: “mi chiedo quante donne dovranno ancora morire prima che si faccia, a tappeto, educazione al rispetto di sé e dell’altro a partire dalla scuola materna.

Non dico che non sia importante la certezza della pena ma la vera soluzione è la prevenzione effettuata sul territorio sempre!”

In effetti la prevenzione, attraverso i percorsi educativi è l’unica soluzione al problema.

E’ pur vero che se oggi si inizia a fare prevenzione la ricaduta sociale sarà sicuramente a medio e lungo termine ma, in ogni caso, se non si inizia non si arriverà mai ad una soluzione!

Nell’ottica delle prevenzioni e delle buone pratiche educative, incontro i bambini e le bambine e gli adolescenti nonchè i loro insegnanti e qualche volta i loro genitori in ogni scuola che abbia voglia di aprire le sue porte.

Capisco che i miei interventi potrebbero essere una goccia nel mare ma io sono convinta che “le parole” che cadono nella testa a lungo andare germogliano i “pensieri”.

In questa settimana che va dal 20 al 25 di novembre, ho incontra le bambine e i bambini nonché i loro insegnanti e i loro genitori in una scuola elementare (nello specifico nel Circolo didattico di Melito P.S.) dove una illuminata dirigente ha deciso di iniziare un percorso di prevenzione alla violenza di genere. È stato un momento molto efficace e i bambini, fianco a fianco con i loro genitori, sono rimasti molto coinvolti anche perché avevano lavorato tanto sull’argomento con i loro insegnanti.

Ho raccontato loro, per rendere più efficace l’incontro, la fiaba di Barbablù in chiave moderna facendo loro attraversare, tramite il racconto, tutte le fasi dell’intrappolamento della piccola sposa nonché il momento della ribellione e della rinascita.

La stessa cosa è avvenuta il giorno 23 e giorno 25 novembre con gli adolescenti dell’Istituto professionale di Siderno – Locri.

Attraverso la “voce” di Giulia racconterò ancora la storia di Barbablù e dunque delle relazioni di coppia tossiche, del vittimismo, dell’isolamento e del silenzio che portano alle tragedie come quella che si è consumata in questi giorni. Ovviamente parleremo di retaggio di educazione e di linguaggio patriarcale perché è dalla “parola” che bisogna partire per modificare un’educazione ormai stantia con troppi pregiudizi sociali che pesano sul cammino di donne e uomini che, non dobbiamo dimenticare, sono compagni di viaggio e hanno bisogno di spalleggiarsi e camminare insieme.

*𝐅𝐢𝐥𝐨𝐦𝐞𝐧𝐚 𝐃𝐫𝐚𝐠𝐨*𝐏𝐬𝐢𝐜𝐨𝐭𝐞𝐫𝐚𝐩𝐞𝐮𝐭𝐚