𝐝𝐢 𝐏𝐚𝐬𝐪𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐌𝐮𝐢𝐚̀

A Locri come in tutti le carceri italiane il sovraffollamento dei detenuti sta, sempre più, creando grossi problemi. Nella casa circondariale della cittadina dello ionio ci sono 128 detenuti mentre la capienza regolamentare è di soli 89 posti. Nei 189 istituti penitenziari italiani ci sono 10mila detenuti in più rispetto a quelli che gli istituti penitenziari possono contenere. Strutture fatiscenti, sovraffollamento, pochissimi educatori, assistenti sociali e psicologi, condizioni disumane dei più fragili, pochi esempi virtuosi di progetti di reinserimento sociale e lavorativo. Una realtà disconosciuta in una società che crede di essere informata mentre invece lo è solo per quella informazione che arriva filtrata e di interesse. Il carcere continua a essere un luogo di pena, dove ogni diritto viene calpestato. Ci sono le eccezioni ma, sono solo come le primule.

La politica continua a dimenticare una realtà incivile. Il mondo dell’associazionismo si muove come può.

Nei giorni 6 e 7 ottobre a Roma l’ARCI ha organizzato un incontro al quale sono stati invitati esperti, parlamentari ed organizzazioni che si occupano dei diritti delle persone private della libertà e delle principali problematiche sociali odierne. L’evento servirà per discutere di come migliorare la condizione detentiva e chiedere al governo più investimenti, cambiamenti legislativi, un nuovo approccio al tema della pena e della sua esecuzione. L’incontro si svolgerà presso il circolo Arci Pietralata di Via Silvano, al numero 15.

La condizione dei detenuti è spesso drammatica. Le persone malate, che soffrono di disturbi mentali, che sono tossicodipendenti, spesso non hanno nessun supporto continuativo e rischiano di peggiorare la loro condizione di vita durante la detenzione. Il sovraffollamento è il risultato di un sistema che privilegia la carcerazione preventiva. In un sistema giudiziario che per la maggior parte non funziona non sono previste, specialmente e principalmente per i reati minori, pene alternative alla detenzione. La situazione si è fatta ancora preoccupante dal cambiamento della popolazione con la presenza di persone straniere detenute. Lo scandalo dei CPR (Centri di permanenza per i rimpatri) è sempre vivo.

Il diritto alla salute, all’affettività, alla socialità delle persone private della libertà sono calpestati ogni giorno. La condizione delle donne, che siano madri o meno, è sempre più difficile in virtù di condizioni che impediscono, concretamente, di avere relazioni stabili con gli affetti esterni.

Ma nessuno vuole vedere, nessuno vuole sapere. E’ come se il carcere fosse una discarica della società, dove non c’è nessuna speranza per persone che hanno rotto il patto sociale attraverso la commissione di un reato, molto spesso strumentale ad una condizione di vita, di fare un percorso di riflessione ed elaborazione dei propri errori per costruirsi un nuovo futuro.