di Pasquale Muià

Il recente Premio Borghinfiore, che ha segnato una nuova nota positiva inaugurando la prima edizione di un premio dedicato alla gastronomia dei borghi con Gustoinfiore assegnato al Borgo di Mammola per “…. la posizione invidiabile, tra mare e montagna, un insieme di tradizioni, di cultura, di storia e di gastronomia”, ha stimolato la coordinatrice del progetto professoressa Annamaria Ferraro Macrì a proporre una visita a Mammola. Poter vivere il paesaggio, visitare i monumenti, ascoltare le testimonianze e coinvolgere nuovi componenti del Gruppo e degustare prodotti tipici del luogo è stato l’obiettivo che la coordinatrice e ideatrice del progetto si era prefissata. Obiettivo raggiunto in pieno. Proposta accettata ed eseguita con grande interesse in una delle ultime domeniche. Il Gruppo per le strade di Mammola ha goduto di una giornata rivelatasi piena di apprendimento culturale, per le tante realtà spesso sconosciute, che i visitatori hanno potuto apprezzare. Dipinti custoditi nella chiesetta di San Filippo, dedicata a S. Sebastiano nel Seicento quando venne eretta, un gioiello d’arte barocca restaurato da oltre un trentennio.

Il palazzo del Comune, già palazzo Gagliardi del Settecento, demolito purtroppo nel 1920 per far posto al nuovo edificio. Una struttura moderna regolare e a due piani, pianterreno e primo piano, con piccolo campanile per l’orologio che scandisce il tempo ad ogni ora.

Palazzo Del Pozzo, col caratteristico portone e portale sormontato da un mascherone e dallo stemma inciso con l’immagine di un pozzo affiancato da due leoni.

Qui visse il pittore e scultore Rodolfo del Pozzo (1867-1936). Con il suo imponente atrio, le scalinate, nel giardino, tutto conservato secondo le vecchie forme, mentre gli appartamenti interni sono stati modificati in seguito a varie vendite.

Subito dopo, un altro palazzo costituito da più unità abitative e diversi portoni d’entrata: palazzo Argirò. Numerosi membri di questa famiglia ricoprirono ruoli importanti nel corso di tre secoli, a Mammola: da notai a magistrati, a sindaci, a letterati. Uno di essi fu Luigi Filippo Argirò, di cui si legge nella targhetta apposta alla parete, scrittore e drammaturgo del Novecento.

La chiesa del Carmine, posta di fronte al palazzo baronale, detto del Baglio, ma di cui resta solo il portale, con le caratteristiche bugne in granito, l’arco rinascimentale all’interno e il giardinetto. La chiesa era una cappella della Baronia, ma nel Settecento venne elevata a parrocchia.

Le strade di Mammola sono pulite, molte facciate delle case rinnovate, ogni tanto dai vicoli semideserti si intravede qualche catapecchia, residuo di famiglie emigrate e di abbandoni. La popolazione è diminuita enormemente dopo gli anni Cinquanta del Novecento, come in tutti i borghi collinari e i villaggi montani.

Ancora la chiesa dell’Annunziata, altra storica chiesa le cui origini risalgono alla seconda metà del ’500. È chiusa. Posta davanti alla Piazza, oggi detta Dei Pubblici Parlamenti, perché ricorda le convocazioni del popolo nei secoli passati, quando il Comune di Mammola si chiamava Università: qui avvenivano i discorsi pubblici, le discussioni, gli annunci ai cittadini. Resiste ancora una parte dell’edificio di Casa Tarentino, con l’anno 1614 scolpito sotto il nome. Alla fine della Piazza, Palazzo Florimo, disabitato, con la facciata ancora integra, con balconi e ringhiere che parlano del passato.

Ogni palazzo storico è uno scrigno, un contenitore di tesori. Così grazie all’aiuto dell’amico biologo Pino Agostino che ha contattato Domenico Spatari, titolare del Museo Del Pozzo, nel palazzo del fu Don Cesare del Pozzo e di suo figlio Giovan Battista, eredi di un grande patrimonio materiale e spirituale di tante famiglie Del Pozzo si riesce a osservare cimeli di valore inestimabili. Tre stanzette, una sopra l’altra piene zeppe di mobili, libri, quadri, fotografie, documenti, reperti artigianali, anche di un ottocentesco cinematografo familiare… richiami ad antiche usanze. Colpiscono i ritratti di personaggi appesi alle pareti, i dipinti, le foto d’epoca, tra Ottocento e Novecento, le decorazioni di personaggi militari di vari Del Pozzo, alcuni tenenti di vascello. Nicodemo Del Pozzo fu il più illustre e operoso sindaco di Mammola dell’Ottocento.

La chiesa Matrice, la più vecchia, intitolata a S. Nicola di Bari, come tante altre chiese del Sud Italia sorte nell’alto medioevo oggi conosciuta per un altro santo, che qui è vissuto e morto mille anni fa, S. Nicodemo, patrono di Mammola sin dal 1638, molto venerato da sempre. Un’urna ne custodisce le reliquie nella cappella a lui dedicata accanto alla navata destra, dove sono collocate due statue: una, il Busto del Santo in ottone ramato del 1592, l’altra in legno con veste monacale del 1827. La chiesa, a tre navate, è la più ampia della Diocesi dopo la Cattedrale di Gerace. Conserva alle pareti e al soffitto dipinti originali di Gustavo Gerosi del 1922, altri di Nik Spatari, famoso artista mammolese morto pochi anni fa, statue di Santi, altri oggetti di culto preziosi conservati nella sacrestia.

Nelle vicinanze, altri edifici antichi, alcuni demoliti perché pericolanti come ad esempio quello appartenuto alla famiglia del martire risorgimentale Francesco Ferrari, condannato a morte nel 1851, come ricorda la lapide commemorativa posta in un muro d’angolo. Invece esiste una altro palazzo, pure della famiglia Ferrari, posto in via Cirillo, ma acquisito dal Comune (una cui stanza è stata adibita a sala comunale e a convegni culturali). L’ampio atrio ci accoglie, nella sua originaria struttura. A fianco, altri spazi abitativi accolgono una comunità di anziani disabili, gestiti da una Associazione locale, bene organizzata.

Da qui a Palazzo Spina il passo è breve: qui abitava uno degli ultimi discendenti della famiglia baronale, il medico Giuseppe Spina e il figlio Mario ucciso in circostanze alquanto misteriose all’indomani della caduta del fascismo e alla vigilia dell’armistizio dell’8 settembre 1943. Bellissimo ancora è il balcone nel suo stile barocco con il suo mascherone in ferro al centro della ringhiera.

Poi l’ultima chiesa, quella di S. Giuseppe, ultima in ordine all’anno di costruzione. Risale al 1730. Da qui si domina tutto il paese, col corollario delle colline di fronte, il cielo azzurro, mentre una fontanella riposa al di sotto, presso il piano stradale, memoria di un passato di donne ivi accostate con cortare e cortarelle in mano o in testa a rifornirsi del prezioso liquido che per tanto tempo mancò nelle vecchie case del popolo. Da qui, un tempo a piedi lungo i sentieri si arrivava alle Serre vibonesi, o a Grotteria, mentre oggi portano al Calvario per chi vive la fede religiosa o alla via della Circonvallazione, percorsa da automobili.