Una nota dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte qualche giorno addietro ha fornito dettagliate indicazioni operative riguardo alla nomina e retribuzione dei docenti incaricati di svolgere le attivitΓ  alternative all’insegnamento della religione cattolica per l’anno scolastico 2025/2026. Un provvedimento che interessa tutti gli studenti italiani e le loro famiglie. Sino ad oggi l’argomento non Γ¨ stato mai affrontato con serietΓ  da parte del Ministero. Quest’anno, il sistema scolastico che si dichiara laico e inclusivo, stupisce ulteriormente. Infatti le attivitΓ  alternative all’insegnamento della religione cattolica sono ancora una volta trattate come un tema di secondo piano, spesso affrontato con spirito burocratico piΓΉ che con reale attenzione pedagogica. La recente nota dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte per l’anno scolastico 2025/2026 ne Γ¨ una conferma: un documento dettagliato, certamente utile per la gestione amministrativa, ma privo di una visione culturale ed educativa forte che ne riconosca la piena dignitΓ .

Le attivitΓ  alternative sono un diritto riconosciuto agli studenti e alle famiglie che scelgono consapevolmente di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, in virtΓΉ dell’Accordo di revisione del Concordato tra Stato e Chiesa del 1984. Non si tratta, dunque, di una concessione o di una scelta opzionale per le scuole, ma di un obbligo costituzionale che attiene al principio di libertΓ  religiosa e all’eguaglianza dei cittadini.

Tuttavia, dalla nota emerge una gestione residuale e subordinata: l’assegnazione delle ore Γ¨ possibile β€œsolo in via residuale” a personale supplente; la retribuzione Γ¨ vincolata a complicati incastri gestionali; si sottolinea che non ci devono essere β€œoneri aggiuntivi” per l’amministrazione. Sembra, insomma, che lo Stato italiano debba garantire queste attivitΓ  senza disturbare troppo il funzionamento ordinario della macchina scolastica.

Il cuore del problema, però, non è solo organizzativo. È culturale ed educativo. In nessun punto della nota si fa riferimento alla necessità di qualificare didatticamente le attività alternative. Cosa si propone a questi studenti? Come si scelgono i contenuti? Quali strumenti formativi vengono adottati? Quale preparazione deve avere il docente incaricato?

Si continua a trattare l’attivitΓ  alternativa come un contenitore vuoto, da riempire all’occorrenza, purchΓ© non costi troppo. CosΓ¬ facendo, si crea una disparitΓ  sostanziale tra chi frequenta l’IRC (dotato di programmi, insegnanti formati e valutazioni strutturate) e chi invece dovrebbe β€œaccontentarsi” di attivitΓ  spesso improvvisate, gestite da docenti non specializzati e valutate con un giudizio sintetico, non comparabile con le altre discipline.

La scuola pubblica italiana, formalmente laica, continua a riservare un trattamento privilegiato all’insegnamento della religione cattolica – che resta l’unica materia scolastica con docenti scelti dalla Chiesa, ma pagati dallo Stato – mentre discrimina nei fatti chi fa una scelta diversa, in nome della libertΓ  di coscienza.

Paradossalmente, i docenti di religione cattolica, pur essendo formalmente β€œincaricati”, sono stabilizzati, tutelati e garantiti piΓΉ di chi svolge attivitΓ  alternative, spesso con contratti precari, senza continuitΓ  nΓ© riconoscimento professionale. Una contraddizione che mina la coerenza etica e istituzionale dell’intero sistema scolastico.

Le attivitΓ  alternative non possono essere gestite come un onere da contenere, ma come un’opportunitΓ  educativa da valorizzare. Serve una riforma che le riconosca per ciΓ² che sono: uno spazio di riflessione laica, di educazione civica, di cultura del pluralismo. Servono programmi chiari, personale formato, risorse dedicate.

Se davvero vogliamo una scuola capace di educare alla cittadinanza, alla convivenza e alla libertΓ , dobbiamo cominciare da qui: dare dignitΓ  piena a chi sceglie un percorso diverso, ma altrettanto valido, rispetto all’insegnamento confessionale. O continueremo a fare retorica sulla scuola inclusiva, mentre alimentiamo nei fatti una disuguaglianza silenziosa e profonda.

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