C’è un tesoro nella memoria di pochi sopravvissuti, che perde limpidezza ogni qual volta uno di loro viene a mancare, uomini e donne che avrebbero potuto e dovuto impazzire, per sopportare o per dimenticare, ma che con coraggio hanno scritto, ricordato, e raccontato trame di vicende assurde che la ragione non riesce a spiegare. Questo il potere della memoria di un massacro, quando riviviamo senza pericoli le vicende di famiglie col terrore negli occhi, di gambe che tremano senza freddo e di quando la disperazione ha rapito il loro benessere… ma sarebbe stato solo l’inizio di una storia da non dimenticare. Ora caliamoci nella vita degli altri, come ci hanno insegnato i romanzi, immedesimiamoci e liberiamo l’empatia:in una casa grigia, una cena semplice e bambini che ascoltano in silenzio, un momento goduto, come un’oasi di libertà tra i guai della vita di un ghetto. Poi rumore, curiosità e sospetto, di nuovo rumore e la fantasia che cerca soluzioni di comodo, uno sparo, inequivocabile, poi un urlo, il ventre che sale, uno sguardo ai propri figli che si coprono gli orecchi, poi l’ansia di sapere e la paura di scoprire, il disagio… d’un tratto il mondo cambia e diventa plumbeo, la gente scappa gridando, i suoni non sono più riconoscibili. Il panico.

La disperazione prende il sopravvento e quell’abbraccio protettivo diventa una morsa, la mente si svuota, le mani tremano, le scuse sono finite, non c’è più fantasia per rimediare la realtà… ed è panico, disperazione inespressiva e poi è l’orrore che comanda su tutto sopra un ghetto ormai vuoto. La gabbia delle belve ossequienti è stata aperta, e l’inizio di un viaggio senza ritorno cancella l’umanità, dimenticando arte, musica, scienza e lettere per piegarsi in fronte al falso idolo di una razza diversa. Storie di persone e di intere famiglie che non vogliamo mai più dimenticare, ma anzi fare nostre, condividendole per sempre. Perché gli errori di alcuni non vengano ripetuti da altri, e oggi che ci sentiamo savi di mente, ma che lo spettro delle ideologie aleggia, come uno spettro senza logica, sopra le politiche e le intolleranze. Shoah, termine asciutto e sintetico, che racchiude la nostra coscienza, dove sciagura e riscatto assumono significati contrari, dove avere cura del passato rende più forte il nostro futuro, senza riflettere il presente su uno specchio rotto.


Oggi ricordiamo quei numeri tatuati a cui fu levato il nome, e tutto ciò che racchiude un’identità, un olocausto in cui caduti e sopravvissuti ci hanno lasciato in eredità una responsabilità, senza la quale è impossibile comandare i nostri futuri.
Settantotto anni, e anche i carnefici si sono estinti, come vittime delle loro stesse azioni, deceduti prima del corpo per l’incurante umanità, ultimi stolti sedotti dal pensiero ignobile che desiderava essere legge, esecutori della pazzia di altri e indegni anche degli sguardi dei loro figli, e sulle cui lapidi non posano né ironia né ira.