Era il 15 Giugno 1864 quando Jean Henry Dunant fondò un movimento vincolato al principio di umanitarismo, ed oggi che ricorre il 150esimo anniversario è fondamentale, quanto allora, ricordare un insegnamento che io in prima persona ho condiviso, con colleghe e colleghi preparati e solidali, durante la mia permanenza in Croce Rossa. Dell’allora Comitato Milanese dell’Associazione Italiana per il soccorso dei feriti e malati di guerra è rimasta la volontà del fare e il desiderio di aiuto rivolto a tutti, indiscriminatamente, senza badare alle ragioni che normalmente dividono le persone. Un’ideale ancora giovane, che attrae ogni anno, nella semplicità della sua formula, migliaia di adesioni in cui sette regole fondamentali suggellano l’unione di un gruppo formato da chiunque e per chiunque. Le regole sono poche e scheletriche come le ovvietà, che ancora oggi dopo un secolo e mezzo, insegna ai giovani di tutto il mondo che le differenze sono apparenti; che il senso di Umanità, dove l’ uguaglianza tra ceppi sociali, etnici ed ideologici non esistono, e che chiunque pronunci richiesta di aiuto si rende identico nella solidarietà, e dove chi soccorre deve dimostrare comprensione e cooperazione per ogni bisognoso, per agire e al contempo dimostrare, che una pace durevole è possibile anche dove le differenze siano evidenti e dove, senza neppure porsi la domanda, deve esistere quell’ imparzialità necessaria ad una sana risposta alle piaghe umane. Dall’interno della Croce Rossa, durante la mia permanenza nel corpo, ho assaporato in prima persona che la regola di neutralità non è solo un vocabolo scenico, ma un’evidente presa di posizione dove ognuno è diverso, ma tutti sanno accettare le differenze, lasciandomi a riflessioni sulle esigenze di chi mi affiancava, per comprendere al meglio le questioni politiche, religiose e morali, di chi proviene da formazioni diverse dalla mia. Comprendendo la decisione di indipendenza riguardo al resto, che futile nel momento del bisogno, saprebbe solo ostacolare un’azione diretta e risolutiva nell’aiutare il prossimo in difficoltà. Appena avvicinatami alla realtà della CRI, rimasi sbigottita nel leggere determinazione negli operatori, che avendo fatto una scelta di volontariato non chiedevano nulla in cambio del proprio operato, se non quella soddisfazione che nasce solo nell’aiutare … e nulla è più piacevole che condividere questa sensazione con colleghi, che assieme, esprimendo il senso di unità, che concede fierezza ad un gruppo e mai al singolo. In questa universalità d’intenti, ho scoperto che far del bene agli altri fa bene a sè stessi, ma non nell’effimera logica dell’ego, ma bensì nel far parte di un gruppo coeso che ogni giorno, senza sottrarsi mai, decide e agisce a favore di ogni richiesta senza mai porsi limiti, o scegliere chi aiutare.
