LA CULTURA CI RENDE LIBERI

Qualche giorno addietro perdevo il mio tempo tra i trafiletti meno noti delle testate giornalistiche nazionali, e tra l’ennesimo risultato del giuoco del pallone e un articolo di guerra costruito sul preconcetto piuttosto che dai fatti, mi sono imbattuta in un titolo foriero di allarmismo, che mi ha manifestato un dissenso profondo, che nato nella pancia si è radicato fino ad innervosire la mente.

Il titolo non lasciava neppure il dubbio che favorisce la speranza, e riporta laconico una verità spiazzante: “Magistrati, solo il 5.7% supera la prova scritta”, inutile speculare su un dato oggettivo come una percentuale, o fantasticare discolpe per coloro che hanno svolto l’esercizio linguistico per accedere alla carica, poiché dal dato emerge una preoccupante realtà sulle capacità dei partecipanti, che con metrica degna di un anacoluto, hanno evidenziato lacune preoccupanti trasgredendo alle regole grammaticali, e ancor peggio di comprensione del testo.

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Durante i miei pochi decenni, ho avuto sempre l’audacia di credere che un giudizio fosse un intricato dedalo di esperienze e nozioni, che si intrecciano a formare un pilastro di conoscenza che, almeno in alcuni, orienta verso l’oggettività giuridica, ritenendo che alla base di tale obiettività vi siano i temi fondamentali, quali educazione e cultura … e solo dalla commistione di questi ho sempre sperato fiorisse quel senso del giusto, capace di rendere veritiere le opinioni.

Inorridisco, quindi, nel venire a conoscenza che coloro che anelano all’essere preposti al giudizio della vita altrui, missione essenziale e più nobile della magistratura, non siano in grado di far descrizione di un evento o di articolare un qualsiasi concetto, come evidenziato dal risultato degli esami in questione, e che quando la vita di qualcuno dipende per necessità, dalle capacità di giudizio di un’altra, alcuni requisiti dovrebbero essere essenziali e non da attribuirsi al caso o alla fortuna di incontrare la persona giusta.

Credo fortemente che chi non sa scrivere non sa leggere, e chi non sa leggere non può capire, e mentre mi ripeto questo, allora la memoria vaga alla ricerca di conferme, alla ricerca di solidi personaggi in grado di farmi ricredere, e mentre emergono le figure limpide di Falcone e Borsellino, che hanno tramutato una professione in una nobile vocazione, a cui offrire la vita stessa che è il bene immolabile solo alle cause onorevoli, in un secondo momento ho realizzato che appena l’altro giorno si consumava l’anniversario di morte di Enzo Tortora, a cui fu negata la presunta innocenza proprio da magistrati, che mai puniti, hanno macchiato la loro categoria con un risultato indelebile, che in bilico tra inettitudine e concussione, ha prodotto un effetto limitrofo a quelli descritti nell’articolo che sto commentando, dove nonostante gli studi attestino una preparazione di base, nella pratica si evidenzia un’ incolta e miserevole ignoranza.

Questi saranno i futuri magistrati ignoranti? Costoro, che senza saper capire un semplice documento scritto, dovranno decifrare i messaggi sottointesi per esaminare, poi valutare ed infine decidere delle vite di individui, che in cuor loro magari credono ancora nella giustizia. Forse, il mondo non si cambia riformando ma agendo nell’anima di un problema, scavando a ritroso fino a conoscerne le radici che, ahimè, in questo caso sono attribuibile a qualcosa in cui credo … lo studio universitario … o forse ci credevo!

#incipitsistemacomunicazione